Ricorso del Presidente della Repubblica, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato   (c.f.   80224030587),   PEC
roma@mailcert.avvocaturastato.it, presso i  cui  uffici  ex  lege  e'
domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi  n.  12,  giusta  decreto
presidenziale in data 16 luglio  2012  (doc.  1)  avente  ad  oggetto
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; 
    Nei confronti del Pubblico Ministero in persona  del  Procuratore
della  Repubblica  presso  il  Tribunale  Ordinario  di  Palermo   in
relazione  all'attivita'  di   intercettazione   telefonica,   svolta
nell'ambito di procedimento  penale  pendente  dinanzi  alla  Procura
della Repubblica di Palermo, effettuata su utenza  di  altra  persona
nell'ambito  della  quale  sono  state  captate   conversazioni   del
Presidente della Repubblica. 
 
                                Fatto 
 
    Con nota in data 27 giugno 2012  prot.  n.  069/s.p.,  l'Avvocato
Generale  dello  Stato  chiedeva  al   Dottor   Francesco   Messineo,
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, avendone
ricevuto espresso mandato dal Segretario  Generale  della  Presidenza
della Repubblica, «una conferma o una smentita» di  quanto  risultava
nell'intervista effettuata dalla  giornalista  Alessandra  Ziniti  al
P.M. Antonino Di Matteo e pubblicata sul quotidiano  «La  Repubblica»
del 22  giugno  2012  (doc.  2),  dalla  cui  risposta  emergeva  che
sarebbero state intercettate conversazioni telefoniche del Presidente
della Repubblica  allo  stato  considerate  irrilevanti,  ma  che  la
Procura di Palermo si sarebbe riservata di utilizzare (doc. 3). 
    Con nota in data 6 luglio 2012, il Procuratore Messineo allegando
la missiva in data 5 luglio 2012 (doc. 5) con la quale  il  Dott.  Di
Matteo rappresentava che le affermazioni, pronunciate  nel  corso  di
un'intervista telefonica con la giornalista Ziniti, erano conseguenza
di una domanda di quest'ultima  assolutamente  generica  sulla  sorte
processuale   del   compendio   delle   intercettazioni    effettuate
nell'ambito  di  indagini,  limitandosi  «all'ovvio   richiamo   alla
corretta applicazione della normativa in tema di utilizzo degli esiti
delle attivita' di intercettazione  telefonica»,  comunicava  che  la
Procura di Palermo, «avendo gia' valutato come  irrilevante  ai  fini
del procedimento qualsivoglia eventuale comunicazione  telefonica  in
atti diretta al Capo della Stato, non ne prevede alcuna utilizzazione
investigativa o processuale,  ma  esclusivamente  la  distruzione  da
effettuare con l'osservanza delle formalita' di legge» (doc. 4). 
    Con nota diffusa  il  9  luglio  2012  (doc.  6)  e  con  lettera
pubblicata sul quotidiano «La Repubblica»  in  data  11  luglio  2012
(doc.  7),  il  Procuratore  Messineo  ulteriormente  affermava   che
«nell'ordinamento attuale nessuna norma prescrive  o  anche  soltanto
autorizza l'immediata cessazione dell'ascolto e della  registrazione,
quando, nel corso di una  intercettazione  telefonica  legittimamente
autorizzata, venga casualmente ascoltata  una  conversazione  fra  il
soggetto sottoposto ad  intercettazione  ed  altra  persona  nei  cui
confronti non poteva essere disposta alcuna intercettazione». 
    Aggiungeva,  inoltre,  che  «in  tali   casi,   alla   successiva
distruzione della conversazione legittimamente ascoltata e registrata
si procede esclusivamente, previa valutazione della irrilevanza della
conversazione stessa ai fini del procedimento e con la autorizzazione
del Giudice per le indagini preliminari, sentite le  parti.  Cio'  e'
quanto prevedono le piu' elementari norme dell'ordinamento ...» 
    Il Presidente della Repubblica non ritiene di  poter  condividere
la  tesi  del  Procuratore  della  Repubblica,  in  quanto,  a  norma
dell'art. 90 della Costituzione e dell'art. 7 della  legge  5  giugno
1989, n. 219, salvi i  casi  di  alto  tradimento  o  attentato  alla
Costituzione  e  secondo  il  regime   previsto   dalle   norme   che
disciplinano  il  procedimento  d'accusa,  le  intercettazioni  delle
conversazioni cui partecipa il Presidente della Repubblica, ancorche'
indirette e occasionali, sono, invece, da considerarsi  assolutamente
vietate e  non  possono,  quindi,  essere  in  alcun  modo  valutate,
utilizzate  e  trascritte  e  di  esse  il  pubblico  ministero  deve
immediatamente chiedere al giudice la distruzione. 
    Comportano, quindi, lesione delle prerogative costituzionali  del
Presidente della Repubblica, quantomeno sotto il profilo  della  loro
menomazione,   l'avvenuta   valutazione   sulla    rilevanza    delle
intercettazioni  ai   fini   della   loro   eventuale   utilizzazione
(investigativa o processuale), la  permanenza  delle  intercettazioni
agli atti del procedimento e  l'intento  di  attivare  una  procedura
camerale  che  -  anche  a  ragione   della   instaurazione   di   un
contraddittorio  sul  punto  -  aggrava  gli  effetti  lesivi   delle
precedenti condotte. 
    In  virtu'  del  decreto  in  epigrafe  del  Capo  dello   Stato,
l'Avvocatura Generale  eleva,  pertanto,  con  il  presente  ricorso,
conflitto ai sensi degli artt. 37 e seguenti  della  legge  11  marzo
1953, n. 87, per violazione degli articoli 90 e 3 della  Costituzione
e  delle  disposizioni  di  legge  ordinaria  che  ne   costituiscono
attuazione (art. 7 della legge 5  giugno  1989,  n.  219,  anche  con
riferimento all'art. 271 del codice di procedura penale). 
 
                               Diritto 
 
1. Sull'ammissibilita' del ricorso. 
    1.1. Sotto il profilo soggettivo. 
    La spettanza della qualificazione di potere dello Stato  in  capo
al Presidente della Repubblica,  odierno  ricorrente,  e'  del  tutto
pacifica. Per quanto concerne la Procura della Repubblica  presso  il
Tribunale di Palermo, appare sufficiente richiamare l'insegnamento di
codesta ecc.ma Corte in ordine alla competenza del Procuratore  della
Repubblica di dichiarare definitivamente la volonta' del potere a cui
appartiene ed alla individuazione in capo al Pubblico Ministero della
natura di potere dello Stato in quanto titolare diretto ed  esclusivo
dell'attivita' di indagine finalizzata  all'esercizio  (obbligatorio)
dell'azione penale (sentenze della  Corte  costituzionale  n.  216  e
420/95; 118/98; 410/98; 487/00; 232/2003; n. 100/2009;  ordinanze  n.
124/2007; n. 425/2007, n. 241/2011). (1) 
    1.2. Sotto il profilo oggettivo. 
    Il Presidente della Repubblica rivendica, con il  presente  atto,
con riguardo  all'attivita'  istruttoria  di  intercettazione  svolta
dalla Procura di  Palermo,  l'integrita'  delle  proprie  prerogative
costituzionali previste dall'art. 90 della Costituzione  secondo  cui
«il Presidente  della  Repubblica  non  e'  responsabile  degli  atti
compiuti nell'esercizio delle  sue  funzioni,  tranne  che  per  alto
tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi  e'  messo
in stato di accusa dal Parlamento in  seduta  comune,  a  maggioranza
assoluta dei suoi membri». 
    In coerenza con le prerogative previste dal citato art. 90  della
Costituzione, l'art. 7, comma 3, della legge 5 giugno  1989,  n.  219
citata, contempla il divieto assoluto di intercettazione e  di  altri
mezzi di acquisizione  della  prova  invasivi,  stabilendo  che,  nei
confronti  del  Presidente  della  Repubblica,  non  possono   essere
adottati i provvedimenti indicati nel comma precedente (tra  i  quali
quelli in materia di «intercettazioni telefoniche o di altre forme di
comunicazioni») se non dopo che  la  Corte  costituzionale  ne  abbia
disposto la sospensione dalla carica. 
    Il conflitto in esame ha, dunque, per oggetto  essenzialmente  la
corretta interpretazione dell'art. 90  della  Costituzione  ed  anche
della disposizione dell'art. 7, comma  3,  della  legge  n.  219/1989
citata,  di  diretta   attuazione   ed   integrazione   della   norma
costituzionale  predetta.  La  controversia  si  incentra,   infatti,
proprio sull'ambito di estensione dell'immunita',  che,  a  proposito
del regime  delle  intercettazioni,  le  norme  citate  riservano  al
Presidente della Repubblica. 
    Si  ritiene,  infatti,  che  la  intercettazione,  l'ascolto,  la
valutazione, la utilizzazione  o  la  distruzione  con  la  procedura
prevista dall'art. 268  c.p.  finirebbe  per  ledere  le  prerogative
contemplate  dall'art.  90   della   Costituzione   con   riferimento
all'insieme delle modalita' attraverso le quali il  Presidente  della
Repubblica  esercita  le  delicate   funzioni   attribuitegli   dalla
Costituzione, tra cui quelle  di  massima  rappresentanza  a  livello
internazionale. 
    Non  vi  e'  dubbio,  pertanto,  che,  anche  sotto  il   profilo
oggettivo, ricorrano i presupposti di cui all'art. 37 della legge  n.
87/1953 citata. 
2. Nel merito: violazione dell'art. 90  della  Costituzione  e  delle
disposizioni  legislative  che   ne   costituiscono   attuazione   ed
integrazione, nonche' dell'art. 3 della Costituzione. 
    2.1. Come sottolinea la dottrina in sede di commento  alla  norma
costituzionale, l'irresponsabilita' del Presidente  della  Repubblica
non e'  solo  una  irresponsabilita'  giuridica  per  le  conseguenze
penali, amministrative e civili eventualmente  derivanti  dagli  atti
tipici compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, ma  anche  una
irresponsabilita' politica diretta a garantire la piena liberta' e la
sicurezza  di  tutte  le  modalita'  di  esercizio   delle   funzioni
presidenziali. Cio' comporta  l'assoluta  riservatezza  di  tutte  le
attivita' del Presidente della Repubblica che  sono  propedeutiche  e
preparatorie rispetto al compimento  degli  atti  tipici  e  pubblici
attraverso i quali esercita formalmente i  propri  poteri  (2)  :  si
tratta, dunque, di una immunita' sostanziale  e  permanente  imputata
all'organo costituzionale e posta a protezione della  persona  fisica
che ne e' titolare. 
    La dottrina ha anche osservato che non ha molto  senso  chiedersi
se  la  (ir)responsabilita'  politica   costituisca   la   regola   o
l'eccezione (3) , per la  scelta  inequivocabile  fatta  dal  diritto
positivo, che ha sancito il principio del necessario collegamento fra
irresponsabilita' ed esercizio della funzione. 
    Le funzioni del Presidente  della  Repubblica  sono  strettamente
connesse e vanno interpretate con il ruolo, che la  Costituzione  gli
attribuisce,  di  Capo  dello   Stato,   rappresentante   dell'unita'
nazionale.  La  sottrazione  del  Presidente  della  Repubblica  alla
responsabilita' anche politica e' stabilita in funzione di tale ruolo
e non certo per escludere la «politicita'» della sua  azione  diretta
ad assicurare in  modo  imparziale,  insieme  agli  altri  organi  di
garanzia, il corretto funzionamento del sistema  istituzionale  e  la
tutela degli interessi permanenti della Nazione (4) . 
    Deve, in conclusione, ribadirsi che la sfera di immunita' che  la
Costituzione  riserva  al  Capo  dello  Stato  non   costituisce   un
inammissibile privilegio, legato ad esperienze ormai  definitivamente
superate.  Al  contrario,  le   prerogative   che   la   Costituzione
attribuisce al Capo dello Stato  sono  strettamente  funzionali  agli
altissimi compiti che e' chiamato a sostenere nell'espletamento della
citata funzione di garanzia complessiva del  corretto  andamento  del
sistema  che  egli  esercita,  mantenendo,  appunto,  l'unita'  della
Nazione. E' del  tutto  evidente  che,  nell'espletamento  di  questi
compiti, al Presidente della Repubblica  deve  essere  assicurato  il
massimo di liberta' di azione  e  di  riservatezza,  appunto  perche'
alcune attivita' che egli pone  in  essere,  e  certamente  non  poco
significative, non hanno un carattere formalizzato. 
    Il perseguimento  delle  finalita'  costituzionali  caratterizza,
dunque, l'attivita',  sia  formalizzata  sia  non  formalizzata,  del
Presidente della Repubblica connotandola in senso  funzionale,  cosi'
che la protezione  derivante  dall'immunita'  prevista  dall'art.  90
della Costituzione ricomprende  tutti  gli  atti  presidenziali,  nei
quali siano appunto rinvenibili quelle finalita'. 
    La Costituzione ha, in effetti, delineato un equilibrato rapporto
tra  poteri  e  responsabilita'  ed  in  questa   ottica   garantista
l'immunita' del Presidente della Repubblica non puo'  essere  affatto
considerata   come    un'inammissibile    rottura    del    principio
dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma come  strumento
indispensabile per consentire il piu'  efficace  conseguimento  degli
obiettivi  prefissati  in  Costituzione.  L'immunita'  si  configura,
quindi, come un  essenziale  strumento  di  garanzia  dell'attuazione
della Costituzione ed, in questa ottica, deve essere interpretata nel
raffronto con la legislazione ordinaria, che, come e' noto, va sempre
applicata in modo costituzionalmente orientato. 
    Com'e'  stato  osservato  in  dottrina  (5)  ,  l'art.  90  della
Costituzione rappresenta, infine, al tempo stesso,  anche  un  limite
alle attribuzioni  degli  altri  poteri  dello  Stato  che,  ove  non
correttamente esercitati, menomerebbero le prerogative costituzionali
del Presidente della Repubblica (6) . 
    2.2. Anche dall'interpretazione sistematica delle norme di  legge
ordinaria   che   disciplinano,   in    attuazione    dei    principi
costituzionali, la posizione del Presidente della Repubblica  deriva,
per quanto qui interessa, che la liberta' di comunicazione non  possa
subire alcuna limitazione neppure da parte di altra Autorita'. (7) . 
    L'inviolabilita' delle determinazioni e delle  comunicazioni  del
Presidente durante il mandato e' espressamente riconosciuta dall'art.
7,  comma  2,  della  legge   5   giugno   1989,   n.   219   citata,
significativamente  intitolata  «Nuove  norme  in   tema   di   reati
ministeriali   e   di   reati   previsti   dall'articolo   90   della
Costituzione», articolo contenuto nella  fonte  legislativa  connessa
alla norma costituzionale predetta e che assume il ruolo  integrativo
di quest'ultima. 
    La norma di cui all'art. 7, comma 3, della legge citata, contiene
l'espresso e assoluto divieto di disporre intercettazioni telefoniche
o di altre forme di comunicazione nei confronti del Presidente  della
Repubblica  senza  prevedere   alcuna   eccezione   e   consente   le
intercettazioni solo  dopo  che  la  Corte  costituzionale  ne  abbia
disposto la sospensione dalla carica. 
    Va sottolineato che questo divieto  assoluto  di  intercettazione
diretta delle conversazioni del Capo dello Stato e'  legislativamente
ed espressamente stabilito per i due soli reati, per i quali, secondo
la previsione dell'art. 90 della Costituzione, puo' essere  messo  in
stato di accusa il Presidente della Repubblica. Se  c'e'  dunque,  in
questi casi, un divieto di intercettazione diretta nel periodo in cui
il Presidente e' in carica e' naturale che debba  esistere  anche  un
divieto altrettanto assoluto delle intercettazioni,  qualora  fossero
captate in modo indiretto o casuale. Quello, infatti, che  si  desume
con assoluta chiarezza dal  combinato  disposto  dell'art.  90  della
Costituzione e dell'art. 7, comma 3, della legge 5 giugno 1989 n. 219
citata, e', appunto, l'impossibilita' di intercettare e anche, se del
caso, di utilizzare  il  testo  di  quelle  intercettazioni,  proprio
perche' il Presidente della Repubblica, anche se messo  in  stato  di
accusa,  non  puo',  fino  a  quando  e'  in  carica,  subire  alcuna
limitazione  nelle   sue   comunicazioni,   dato   che,   altrimenti,
risulterebbe lesa la sua sfera di immunita'. 
    Se questa e' la ratio del sistema che impone divieto assoluto  di
usare  e  di  utilizzare  tali  mezzi  di  prova  riguardo  ai  reati
presidenziali, lo stesso  divieto  di  uso  e  di  utilizzazione  dei
medesimi mezzi di prova,  certamente  limitativi  della  liberta'  di
comunicazione  del  Presidente,  non  puo'  logicamente,  anche   nel
silenzio della legge, non estendersi ad altre  fattispecie  di  reato
che possano a diverso titolo coinvolgere il Presidente. Ed ancor piu'
inammissibile e' la possibilita' di  utilizzazione  di  conversazioni
intercettate occasionalmente nell'ambito di  fattispecie  riguardanti
reati che non possono essere addebitati al Presidente, come, appunto,
si verifica nel caso del conflitto in esame. 
    Quando coinvolgono in qualsiasi pur  minimo  modo  il  Presidente
della  Repubblica,  le  indagini  devono  svolgersi,  pertanto,   nel
rispetto delle sue prerogative costituzionali, evitando quelle  forme
invasive di acquisizione della prova che non si conciliano con la sua
assoluta liberta' di determinazione e di comunicazione. 
    Tali considerazioni  portano  a  concludere  che  il  divieto  di
intercettazione riguarda anche le c.d.  intercettazioni  indirette  o
casuali comunque effettuate mentre il Presidente della Repubblica  e'
in carica. 
    2.3. Se, dunque, il divieto di intercettazioni e' la  conseguenza
diretta  dell'immunita'  presidenziale,  e'  evidente  che  si  debba
ritenere la inutilizzabilita' e procedere alla distruzione  immediata
del testo intercettato, ai sensi dall'art. 271 c.p.p., secondo cui «i
risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati  quando
le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla  legge
e    il    giudice    dispone    che    la    documentazione    delle
intercettazioni...sia  distrutta».   Anche   se   non   espressamente
richiamate dal citato art. 271, valgono a fortiori per il Capo  dello
Stato  le  stesse  tutele  e  la  stessa   disciplina   vigenti   per
l'intercettazione  del  difensore  (art.  103  c.p.p.):  un   divieto
assoluto di esecuzione e  un  divieto  di  utilizzazione  poiche'  si
tratta di atto eseguito «fuori dei casi consentiti  dalla  legge».  E
cio' in quanto riguarda la captazione di  conversazioni  che  risulta
rientrare nel generale divieto sancito dal principio  normativo,  che
si  ricava  dall'immunita'  presidenziale.  E  infatti   e'   proprio
l'irresponsabilita' prevista dall'art. 90 della  Costituzione,  cosi'
come integrato dalla citata  norma  ordinaria,  a  dare  vita  ad  un
principio normativo, che si impone all'interprete, in tutti quei casi
in cui occorre fare riferimento alla «legge». Ed in questo  senso  va
letto lo stesso art. 15, secondo comma, della Costituzione. Se  tutto
questo e' vero, e' evidente che alla procedura per la distruzione del
frutto  della  captazione  illegittima  di  una   conversazione   del
Presidente non sono applicabili ne' l'art. 268, comma 4,  e  seguenti
c.p.p.  (deposito  delle  intercettazioni  in  segreteria  del  P.M.;
facolta'  di  esame  da  parte  dei  difensori;  acquisizione   delle
conversazioni indicate dalle parti, non  manifestamente  irrilevanti;
stralcio delle  registrazioni  di  cui  e'  vietata  l'utilizzazione;
inserimento nel fascicolo e  possibilita'  di  estrarre  copia  delle
altre  registrazioni);  ne'  l'art.  269  c.p.p.  (conservazione  dei
verbali e registrazioni; udienza  camerale  per  la  distruzione,  se
richiesta, delle registrazioni e dei verbali  non  necessari  per  il
procedimento, a tutela della riservatezza);  ne'  l'art.  270  c.p.p.
(utilizzazione dei risultati delle  intercettazioni  in  procedimenti
diversi, seguendo le prescrizioni dell'art. 268 citato). Ne', infine,
in via analogica, e' applicabile  alle  intercettazioni  indirette  o
casuali del Presidente della  Repubblica  l'art.  6  della  legge  20
giugno 2003, n. 140 (che disciplina le  intercettazioni  indirette  o
casuali nei confronti di un parlamentare). 
    E' sufficiente osservare  in  proposito  che,  sulla  base  della
normativa costituzionale e ordinaria gia' richiamata (artt. 90  della
Costituzione e 7 della legge n. 219/89), la posizione del  Presidente
della  Repubblica  non  puo'   essere   assimilata   a   quella   del
parlamentare. 
    Solo quest'ultimo, a differenza del Capo dello Stato, puo' essere
sottoposto  a  intercettazione  da  parte   del   giudice   ordinario
(ovviamente su autorizzazione della Camera di appartenenza). Al  solo
parlamentare si riferisce, poi, testualmente l'art. 6 della legge  n.
140/2003 citata quando stabilisce la  necessita'  dell'autorizzazione
«successiva» per l'utilizzazione delle  intercettazioni  indirette  o
casuali del parlamentare  stesso.  Il  legislatore  del  2003  -  pur
consapevole  del  clamore  sollevato  nel   1997   dal   caso   delle
intercettazioni di conversazioni cui aveva partecipato un  Presidente
della Repubblica - non ha dettato alcuna previsione relativa  a  tali
intercettazioni, presupponendo, all'evidenza, che per esse  non  puo'
valere la stessa distinzione tra intercettazioni dirette e  indirette
stabilita  per  quelle  dei  parlamentari.  E,   ancora,   la   Corte
costituzionale, nel dichiarare  con  la  sentenza  n.  390  del  2007
l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 6 prima citato, ha
stabilito che la necessita' di autorizzazione non si  applica  quando
le  intercettazioni  occasionali  debbono   essere   utilizzate   nei
confronti di soggetti diversi  dal  parlamentare  (cosi'  confermando
espressamente che la disciplina della legge  n.  140/2003  citata  e'
applicabile solo alle intercettazioni relative ai parlamentari). 
    Piu' in generale, deve, poi, sottolinearsi  la  differenza  della
ratio della tutela del parlamentare rispetto a quella del  Presidente
della Repubblica per le intercettazioni indirette relative a reati  a
carico di altri: per il Presidente, la  ratio  risiede  nella  tutela
della sua funzione; per il parlamentare, invece,  nella  sola  tutela
della sua privacy, che sarebbe ingiustificato differenziare da quella
di qualunque altro cittadino non essendo in tal caso configurabile un
pregiudizio per la funzionalita' della Camera di appartenenza,  unico
presupposto dell'istituto dell'autorizzazione previsto  dall'art.  68
della Costituzione (cfr. la motivazione della  sentenza  della  Corte
costituzionale n. 390/2007 citata, paragrafo 5.2 del «Considerato  in
diritto» in particolare). 
    Di  conseguenza,  in  conclusione,   per   l'intercettazione   di
conversazioni del Presidente della Repubblica non ha senso  porsi  il
problema di una loro eventuale utilizzabilita' nel processo in  corso
o in altri procedimenti (in difesa o a  carico  di  altri  soggetti),
poiche'  cio'  vanificherebbe  in   toto   la   garanzia   funzionale
riconosciutagli dagli artt. da 87 a 90 della Costituzione; ne' assume
rilievo la distinzione tra intercettazione «diretta»  e  «indiretta».
Concetti, questi, che trovano  il  loro  fondamento  nella  legge  n.
140/2003 citata - insuscettibile, per  quanto  gia'  evidenziato,  di
applicazione analogica al Capo dello  Stato  -  e  che  presuppongono
l'esistenza di un organo competente a  esprimere  una  autorizzazione
preventiva  o  successiva,  nonche'  a  verificare  doverosamente  il
carattere indiretto o diretto dell'intercettazione. 
    2.4. Le argomentazioni fin qui sostenute escludono la correttezza
di una diversa interpretazione-ricostruzione del sistema, secondo cui
l'operativita' dell'art. 7, comma 3 della legge  n.  219/1989  citata
varrebbe solo per le intercettazioni  dirette  di  conversazioni  del
Capo dello Stato (come ritiene il Pubblico Ministero della Procura di
Palermo).  Va  ribadito,  infatti,  che,  nel  caso  di  specie,   e'
sufficiente  la  portata  dell'immunita'  derivante,  secondo  quanto
argomentato in precedenza, dall'irresponsabilita' prevista  dall'art.
90 della  Costituzione  per  orientare  in  senso  ad  essa  conforme
l'interpretazione   dell'insieme   delle   norme   in   materia    di
utilizzazione  delle  intercettazioni,  ritenendo  quindi  pienamente
applicabile alle  intercettazioni  di  conversazioni  del  Presidente
della Repubblica soltanto l'art. 271 del c.p.p. 
    Tanto premesso, nel caso in esame,  sussistono  precisi  elementi
oggettivi di prova del non corretto uso del  potere  giurisdizionale.
Essi sono l'aver quantomeno registrato le intercettazioni nelle quali
casualmente  e  indirettamente  era  coinvolto  il  Presidente  della
Repubblica, unitamente alle circostanze (pacifiche e non  contestate)
che il testo delle telefonate e' agli atti del processo e che  ne  e'
stata addirittura valutata l'(ir)rilevanza  e,  soprattutto,  che  si
ipotizza lo svolgimento di un'udienza secondo le  modalita'  indicate
dall'art. 268 c.p.p. (trascrizione integrale  delle  intercettazioni,
previa  valutazione  dell'irrilevanza;  facolta'  dei  difensori   di
estrarne copia e udienza c.d.  stralcio;  autorizzazione  del  G.I.P.
sentite le parti) per  ottenerne  l'acquisizione  o  la  distruzione:
procedimento  che,  come  si  e'  detto,  non  e'  applicabile   alla
fattispecie, perche' produrrebbe un grave «vulnus»  alle  prerogative
del Presidente della Repubblica, operando senza tenere di esse  alcun
conto e alterando in concreto e in  modo  definitivo  la  consistenza
dell'assetto dei poteri previsti dalla Costituzione. 

(1) Sin dalle prime pronunce in materia la  Corte  costituzionale  ha
    ritenuto decisivo per ammettere  la  legittimazione  dei  singoli
    giudici il fatto che essi, da una parte,  esercitano  le  proprie
    funzioni  giurisdizionali  in  una  condizione  di   indipendenza
    costituzionalmente garantita e,  dall'altra,  pongono  in  essere
    atti che, pur non essendo necessariamente definitivi, sono idonei
    a «impegnare» il potere  cui  appartengono.  In  particolare,  il
    Pubblico Ministero e' stato considerato potere dello Stato quando
    il conflitto, come  accade  nel  caso  di  specie,  e'  correlato
    all'esercizio dell'azione penale,  sulla  base  delle  competenze
    costituzionalmente  attribuite  a  tale  organo   ex   art.   112
    Costituzione (sentenze n. 216 e  420/95;  n.  410/98  e  232/2003
    citate). 

(2) L. Paladin, Presidente della Repubblica. Enc. Diritto,  Giutfre'.
    1986, vol. XXXV, pagg. 221 e segg. 

(3) V. Crisafulli,  Aspetti  problematici  del  sistema  parlamentare
    vigente in Italia, in Studi per Crosa, vol. I 

(4) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol. 1. p. 357.
    La   dottrina   insiste   particolarmente   sul   valore    della
    irresponsabilita' ex art. 90 Cost. ai fini di dedurne la funzione
    presidenziale di garanzia della Costituzione. 

(5) Rossano, «Il Presidente della Repubblica»,  Enc.  Giur.  Treccani
    2007, vol. 24, p. 2 

(6) La maggioranza assoluta per la  messa  in  stato  di  accusa  del
    Presidente della Repubblica e' stata introdotta su  proposta  del
    prof Mortati al  dichiarato  fine  di  preservare  l'indipendenza
    dell'Organo, Comm, della Cost., a cura di G. Branca, Art. 90,  L.
    Carlassare, pag. 154. 

(7) Osservo' in proposito il Ministro della Giustizia nel corso della
    seduta del Senato del  7  marzo  1997  -  e  sul  punto  l'intera
    Assemblea convenne - che «essendo la liberta' di comunicazione  e
    di corrispondenza un connotato  essenziale  dell'esercizio  delle
    funzioni del Presidente della Repubblica, appare  ovvio  ritenere
    che  la  liberta'  e  la   segretezza   delle   comunicazioni   e
    conversazioni del Presidente della Repubblica non possano  essere
    soggette ad alcuna limitazione. L'ovvieta' di tale  affermazione,
    che discende gia' dalla interpretazione sistematica  delle  norme
    che regolano la posizione e le attribuzioni costituzionali  della
    figura istituzionale del Presidente della Repubblica, imporla che
    la liberta' di determinazione e comunicazione  non  possa  subire
    alcuna limitazione neppure da parte di altra  autorita'.  Non  si
    tratta di un privilegio della persona ma della conseguenza  della
    collocazione istituzionale»